Bonelli (ARF! 2022) – Lo stato dell’arte
Fino ad oggi gli schieramenti l’un contro armati hanno visto da un lato eserciti di lettori dalle fauci schiumanti, affamati di informazioni, dati sulle vendite, analisi dettagliate sulla distribuzione capillare delle copie – edicola per edicola -, grafici a torta ed infografiche assortite; dall’altro editori arroccati nelle loro oscure magioni, assediati in fortezze inespugnabili, gelosi dei loro preziosi dati, consapevoli che potranno continuare ad ingrassare le proprie pance, le proprie tasche ed i propri conti in banca. Il tutto in barba ai fruitori finali, che solo uscendo dal proprio stato di ignoranza, potrebbero spezzare le catene della propria dipendenza, smettendo i panni dell’acquirente compulsivo e non sottostando ai continui aumenti di prezzo.
Bene, è così, ma anche meno. Da un lato assistiamo anche a qualche degenerazione voyeuristica ed un pizzico morbosa, ma anche sano attaccamento e partecipazione per dinamiche che si sentono affettuosamente proprie, frutto di quella corrispondenza di amorosi sensi che ci lega alle nostre amate controparti di carta ed inchiostro. Dall’altro alla necessaria – o opportuna – riservatezza per notizie aziendali che influenzerebbero in ogni caso il comportamento non solo dei consumatori, ma anche dei concorrenti.
Muovendo da questa fotografia enfatizzata della realtà, si tratta di dinamiche molto italiane. E niente è più italiano – nel bene e nel male – dell’amata Sergio Bonelli Editore.
Sullo sfondo la mia personale convinzione è che, pur non avendo gli editori nessun interesse nel fornire elementi che potrebbero turbare il proprio target di riferimento, né trarrebbero alcun beneficio nel discutere in pubblica piazza elementi afferenti al privato industriale, non esistono nel nostro paese numerosi “spazi” culturali adatti ad una forma di approfondimento, pacatezza e competenza tali da poter garantire un dibattito che non trascenda.
Laddove, invece, questa strana alchimia vada a crearsi, l’uomo-editore pare abbassare le difese ed aprirsi come se stesse discutendo al bar con gli amici più cari. Ora, questa inaspettata e fortunosa congiuntura astrale sembra essersi creata all’ARF! 2022, in ragione di alcuni elementi caratteristici intrinsechi all’iniziativa.
In primo luogo ARF! non è una fiera, ma un festival. Sembrerebbe una questione di lana caprina, ma la scelta di prendere le distanze dal genus fieristico è assolutamente rilevante. In primo luogo, infatti, è indirizzata anche agli appassionati, ma non solo. È un evento specialistico: retto, animato, innervato da addetti ai lavori. Questo aspetto contribuisce, quindi, a creare un clima di maggiore serena consapevolezza che il proprio dire non sarà travisato e che, in ogni caso, non si debba dare – necessariamente – alla platea una visione edulcorata, rassicurante ed edibile dello stato della (nona) arte.
Secondariamente ARF! pone al centro il fumetto – solo ed esclusivamente – senza che sia necessario, cercare una stampella nel cosplay o in media che abbraccino un target più ampio e meno di nicchia.
Questo preambolo è funzionale a centrare l’attenzione su ciò che rappresenta la fonte principale dei dati che citerò all’interno dell’articolo e degli spunti che hanno ingenerato in me le riflessioni che seguiranno: la viva voce del direttore editoriale della Sergio Bonelli Editore, Michele Masiero, ospite della conferenza “FUMETTI CHE CAMBIANO TUTTO, il mercato editoriale dopo la pandemia”.
Masiero, ospite tra i tanti (editori), beninteso, affronta temi spinosi con la serenità che solo un contesto come quello dell’ARF! poteva fornirgli, magari per l’inconsapevolezza che il confronto sarebbe rimasto nell’etere o – più probabilmente – consapevole del fatto che, per quanto l’utenza brami con fare guardone che le case editrici diventino case di vetro, il pubblico possegga ormai una soglia di attenzione paragonabile – per tempistiche – ad un video di Tik Tok.
Lungi dalle tempistiche di Tik Tok, la chiacchierata con i principali editori del panorama italiano dura un’ora, quarantasei minuti e trentaquattro secondi e, qualora non aveste avuto tempo e voglia di sorbirvela, poggia su una decina di pilastri che fotografano una realtà di cui c’eravamo di certo accorti, ma che, confermata all’origine, assume contorni di una solidità minacciosa.
I. La vetta è già stata toccata.
Almeno dal punto di vista delle vendite abbiamo già visto il meglio. Le coordinate storiche della stagione aurea vengono, infatti, fissate in maniera abbastanza chiara. Gli anni novanta hanno visto sia Tex che Dylan Dog sfondare il tetto delle “svariate decine di migliaia di copie”. Presto detto cosa sia venuto dopo. Un lento ma inesorabile calo di vendite che continua a tutt’oggi.
Le motivazioni di questa lenta agonia vanno dall’oggettivo all’opinabile. Di certo è cambiato il mondo dell’intrattenimento e – altrettanto certamente – sono cambiate le edicole.
Sotto il primo profilo, dirompente è stata la diffusione della rete e non solo, come molti pensano, per l’impatto della pirateria. Internet ha creato un fenomeno di patologica ipertrofia dell’intrattenimento prodotto, in termini di varietà, quantità e fruibilità, a discapito delle forme di passatempo tradizionali, tutte legate ad un supporto analogico, ivi compresa la carta stampata.
La crisi della carta stampata ha ingenerato l’appassire della floridità delle edicole e più le edicole appassiscono, più diminuisce l’offerta di prodotti destinati a questo mercato, aggravando la crisi della carta stampata. Un circolo vizioso infinto, almeno ad oggi.
II. Bonelli lavora su più fronti e su più media.
In due parole “Bonelli Entertainment”. Nulla di nuovo sotto il sole. La nascita del braccio operativo di SBE fu annunciata nell’ormai lontano 2018.
Prodotti partoriti al momento? Zero. Attenuanti? Numerose. Sfortuna? Quanto basta.
Infatti, in mezzo, la pandemia ad azzoppare le varie lavorazioni del ramo d’azienda dedicato ad ampliare lo spettro della proposta bonelliana. Tuttavia, pur consapevoli che i tempi di produzione e realizzazione di serie tv, film e serie animate siano più che consistenti, qualcosa a detta di Bonelli è già pronto e finito.
Primo tra tutti, il primo grande mistero è il film di Dampyr, compiuto ma non – ancora? – distribuito. Cosa freni quest’ultimo passaggio rimane un enigma.
In dirittura d’arrivo, si parla di autunno, la serie animata su Dragonero, realizzata in collaborazione con Rai. Ma nel calderone si parlava di Mister no, Martin Mystère, Nathan Never, senza che siano seguite nuove.
Ultima, ma non per importanza la serie tv su Dylan Dog, che annovera tra i produttori anche James Wan, regista – tra gli altri – di Aquaman e parte della produzione di saghe di successo come Saw e The Conjuring. Ma anche su questo fronte tutto tace, lasciandoci col fiato sospeso.
III. Bonelli ha sposato le edicole ma ama le librerie.
La formulazione forse è un po’ criptica, parafrasando il detto “gli uomini preferiscono le bionde, ma sposano le more”. Quello tra Bonelli e le edicole è un matrimonio d’amore, lungo e duraturo, ma quando la convenienza ci mette lo zampino anche i legami più solidi potrebbero scricchiolare. È in corso una lenta migrazione, in quanto annunciata già da tempo, tuttavia – almeno apparentemente ed allo stato attuale – inesorabile.
Già da un pezzo vari prodotti vengono concepiti, realizzati e confezionati per essere distribuiti per mezzo del solo circuito delle librerie, vivendo al massimo una seconda – e più economica – vita in edicola.
Stando ai nuovi annunci, invece, le edicole diventeranno la riserva indiana delle sole testate già esistenti, tutto il resto verrà dirottato verso il solo canale libraio.
La decisione sembrerebbe assumere i contorni di una mezza ritirata, più che di una mera differenziazione.
IV. Il digitale pericoloso, qualcuno pensi ai bambini
Scherzi a parte, l’aggettivo utilizzato è esattamente “pericoloso”, coltivando – gli alti vertici di Bonelli – la convinzione che “una copia digitale equivalga ad una copia cartacea persa per sempre”.
Dietro a quel “per sempre” possiamo inserire diritti spremuti all’osso in cicli e ricicli di ristampe.
Tuttavia sono in quasi totale disaccordo. Inutile ignorare l’elefante nella stanza. È notorio, nonostante la sacra e meritoria obiezione di coscienza di molti, che le copie digitali – non legali – esistano già. E la pirateria ha – quasi certamente – influito negativamente sul mercato, pur tuttavia non lo ha cancellato, soppiantato o esaurito.
Anzi, per quanto possa comprendere che un fumetto che nasca solo per una distribuzione digitale non permetta nemmeno di rientrare dei costi o comporterebbe il taglio, fino quasi a scomparire, dei compensi di disegnatori, sceneggiatori e professionisti della nona arte, non vedo come una ripubblicazione in digitale a distanza di pochi mesi possa far affondare la barca. Per due ragioni: in primis poiché, come già detto, volenti o nolenti quella copia pirata esiste già (purtroppo). Secondariamente – ed il discorso è stato eccellermene estremizzato da Neil Gaiman, mica l’ultimo dei cretini, con riguardo alle copie illegali – il digitale permette al lettore di spaziare e testare con costi contenuti.
Questo ultimo aspetto, in un mercato che si sta saturando verso il collezionismo, più che la lettura, potrebbe portare ad un effetto virtuoso sulle vendite, permettendoci di allocare meglio risorse economiche – portafoglio – e spaziali – scaffali delle librerie.
Continueremmo a comprare volumi, anche di pregio, ma consapevoli di ciò che vale veramente la pena di possedere.
Dimenticavo, la pericolosa piattaforma digitale si farà, sarà nativa e proprietaria e conterrà il catalogo ma non gli inediti. Nemmeno a dirlo, non c’è una data.
V. Mancate nuove immatricolazioni
Nell’ottica del lento ma inesorabile calo di vendite, non possiamo non inquadrare come fenomeno patologico anche una letterale moria di lettori. In termini anagrafici, il lettore di Tex della primissima ora si avvicina all’età di matusalemme. Ma il peggio è che – in parte anche per le ragioni sovraesposte – ogni dieci lettori che giocano a scacchi con sorella morte, nemmeno uno entra a far parte del novero degli appassionati Bonelli, in adesione a quel fenomeno che lo stesso Masiero ha definito “mancanza di ricambio generazionale”.
Un dato mi pare evidente: trovare nuovi lettori significa anche sperimentare. Se il materiale scritto oggi non riesce nell’obbiettivo è lapalissiano che qualcosa vada modificato. Esiste un gigantesco “ma”, che introdurremo col paragrafo successivo.
VI. La piramide si regge – ancora – su Tex.
Vacillando Tex, il castello potrebbe crollare. La costellazione delle collane texiane – presumo congiuntamente intese – vendono ancora centinaia di migliaia di copie. Questo fiore all’occhiello, rimasto unico, permette – tra l’altro – di mantenere stabile il prezzo delle varie testate. Un equilibrio precario in cui il peso della testata X, venduta allo stesso prezzo di Tex, grava esclusivamente su quest’ultimo.
Questo equilibrio di costi, scelta rispettabilissima, non è da considerare – secondo il vostro umile cronista – una regola felice. È una legge del mercato che domanda ed offerta debbano incontrarsi. Cambiare il costo di un albo, la sua veste editoriale o la sua cadenza è più che sacrosanto se il pubblico di un opera è rachitico o di nicchia. Un prodotto meno vende, più costa.
VII. I costi aumentano ed è difficile mantenere i prezzi costanti
La scoperta dell’acqua calda, però fa sempre specie sentirlo dire ad alta voce. I costi delle materie prima, dall’energia, al gasolio galoppano. Solo la carta ha subito un aumento, da inizio anno, del 65%. L’editoriale di Davide Bonelli, apprezzabile per trasparenza nei confronti dei lettori, non fa ben sperare. Nonostante si tenti di limare il costo della distribuzione, prima o poi, a pagare lo scotto di ciò che succede in questo pazzo mondo sarà l’utente finale.
Eppure è un gioco pericoloso, perché non conosciamo quale sia il punto di rottura nelle decisioni di acquisto del consumatore. Superata quella soglia, che è mentale – e spesso anche non razionale – si smette, per frustrazione. E quando si tronca, si taglia orizzontalmente ogni acquisto.
VIII. Usato sicuro e nuove frontiere
Il passaggio che più mi ha fatto riflettere, tuttavia, è stato quello relativo all’”usato sicuro”, riferito ai desiderata dei lettori più affezionati. Locuzione che per transitività mi pare trasmettersi al novero degli appassionati più fedeli, apparendo quasi un appellativo sgarbato a questi prudenti ed anchilosati utenti che vogliono leggere storie sempre simili a se stesse, in un vortice infinito che si avvolge su se stesso.
Dal punto di vista imprenditoriale posso intendere questo atteggiamento volto a tutelare la riserva indiana dei sempre più acciaccati appassionati. Tuttavia è un atteggiamento che guarda solo al presente, al sopravvivere un giorno in più.
Ho sempre visto la Sergio Bonelli Editore come una fabbrica di sogni, e che si punti alla mera autoconservazione mi farebbe assaporare il gusto amaro del sogno infranto.
Di proclami sulla sperimentazione ne sono stati fatti tanti, qualche tentativo è stato operato e qualcuno è pure riusciro (v. “Il confine”). Ciò nonostante è ancora poco: quella è la direzione coraggiosa da percorrere.
Magari potrebbe non essere una scommessa vincente, ma da lettore ho la consapevolezza che sia quella giusta, sottolineando che andare in edicola e comperare un albo mi rende libero di consigliare un percorso che possa non essere il migliore per i libri contabili ma che potrebbe condurre a scrivere storie migliori e – perfino – spezzare il circolo vizioso che stiamo attraversando.
Insomma, la Sergio Bonelli Editore ci sembra in mezzo al guado e tifiamo tutti che possa arrivare incolume sull’altra sponda, ma siamo consci che al momento stia attraversando acque perigliose.