God save the B.
Pippe mentali sulla Bonelli
S’i’ fosse foco, arderei ‘l mondo;
s’i’ fosse vento, lo tempesterei;
s’i’ fosse acqua, ì’ l’annegherei;
s’i’ fosse Bonelli, sa che farei?
Continuity cruda fino a farvi vomitare.
Fortunatamente per voi, non nacqui casa editrice, né è stato divinato che lo diventerò. Non conosco come funziona – se non sommariamente – la distribuzione, non conosco a fondo come si programma una linea editoriale, quali sono i costi, quali sono i passaggi obbligati, non conosco quali sono i ricavi.
S’i’ fosse Bonelli, fallirei il giorno d’apertura.
Questo doveroso preambolo per precisare che quanto segue non è un accorato appello alla casa di Via Buonarroti in Milano per far cambiare loro i propri piani da qui a venti anni, o ad assumermi come ciambellano di corte, né ho piani di raccogliere adepti che forcone in mano invochino la revolución. Almeno per il momento.
Anzi, nutro sincera stima per come vengono gestite alcune beghe da quelle parti. Sí, le vecchie volpi fra di voi avranno capito che mi sto riferendo all’editoriale di Davide Bonelli (lo potete leggere per intero qui) in cui chiede ai lettori di comprare i fumetti sempre alla stessa edicola per evitare l’aumento dei prezzi. So che alcuni guardano con diffidenza questi comunicati, ma io ci vedo tanto buona volontà nei confronti dei lettori.
Chi mi conosce un poco sa che il mio campo da gioco preferito è quello dei fumetti di super eroi americani e fidatevi, un trattamento così su quel fronte ce lo sogniamo, almeno riguardo alcune realtà. Noi drogati di comics, le risposte, anche finte, ce le dobbiamo sudare. Mica viene nessuno a darci una spiegazione sensata, a cercare un punto d’incontro. Non è più così da tanto tempo. Quindi una lettera come quella di Bonelli, può sembrarmi una coccola, una stretta di mano, in questi tempi disgraziati ed algidi.
A parte le digressioni, questo pezzo cos’è?
E’ solo un gioco. Una lettera a Babbo Natale. Un desiderio di desideri. Una fan fiction, un giro di fantasia dove mi metto il cappello blu e sedendomi in uno scatolone di cartone, piloto l’aereo senza un minimo di vertigine.
S’io fossi Bonelli
Come già detto, sono un fan della continuità narrativa, tipica dei fumetti d’oltreoceano. Per come la vedo io, un personaggio che viaggia in più storie diverse, acquista un vissuto del quale bisogna tenere conto, altrimenti tanto vale usarne uno nuovo. E’ un modo di raccontare che pur se non è nelle corde di tutti gli scrittori, può solo arricchire e rendere più complesso l’intreccio, o le relazioni fra i protagonisti, o rendere più massiccio il mondo che abitano. Grandi racconti del fantastico come Il Signore degli Anelli, o il ciclo della Fondazione sono pregni di continuità narrativa e noi li percepiamo come un’unica gigantesca storia, come un monolite inattaccabile solo perché li abbiamo letti già raccolti tutti insieme, ma sono stati costruiti pezzo per pezzo, nel corso di un’intera vita.
Non voglio negare come un racconto fine a se stesso possa essere affilato fino a lacerare le carni nemmeno fossero budino, è una qualità indiscutibile delle storie slegate che possono spaziare senza legami pregressi, così come è molto più semplice per un nuovo lettore non doversi fare domande su eventi che non si trovano direttamente sul fumetto che sta leggendo, ma è una piccola messa per Parigi se il risultato è un’architettura densa di dettagli che rendono vivido un mondo fittizio. Non è un caso se il cinema è in mano alla Marvel: il ventesimo film ha incassato quasi quanto i primi diciannove messi assieme: gli spettatori, al di là della qualità del singolo lungometraggio, sono stati accompagnati per mano in un crescendo di emozioni e di eventi, imparando a conosce e poi amare (od odiare) i protagonisti che diventavano più vivi ad ogni nuova uscita.
Nei fumetti Bonelli da edicola non è assente il concetto di raccontare la storia di un personaggio nella serialità, acquisendo nuovi elementi. In alcune serie la tendenza è più forte, come in Nathan Never o Dampyr, o ancora nella più giovane Dragonero, in altre si fa sentire meno, come in Tex, in altre ancora come Dylan Dog possiamo considerare la trama orizzontale “dormiente”, pronta a risvegliarsi in determinati appuntamenti molto dilazionati nel tempo (ed intendo nel tempo reale di pubblicazione, non in quello del mondo immaginario). Roberto Recchioni ha in qualche modo tentato di invertire questa tendenza presentando cicli di storie fortemente connesse che a loro volta andavano a formare un puzzle più grande, salvo poi resettare l’intero impianto narrativo che in pratica è tornato ad essere sulla falsariga di quello precedente alla sua gestione.
Questo approccio può essere più “sicuro” da un punto di vista editoriale, restituendo dei personaggi cristallizzati nel tempo e dunque sempre spendibili come fosse la prima volta, ma siccome i soldi non ce li metto io, dannazione, datemi una grande storia che duri cento numeri, datemi il pathos dell’incertezza del risultato, datemi rapporti che cambiano e poi muoiono e poi rinascono. Datemi un continuity che possa farmi imbufalire se gli elementi non tornano, perché anche quello è un divertimento nella serialità.
Tutti frutti, tutti gusti
L’eredità Bonelli nell’immaginario collettivo è saldamente radicata ad un certo tipo di racconto che è quello di genere. Dal poliziesco alla fantascienza, dal western all’horror, personaggi e trame cavalcano sentieri consolidati, natura questa figlia dell’epoca d’oro del fumetto, dove grandi e gloriosi raccoglitori antologici presentavano situazioni ricorrenti e nuovi personaggi adatti a gusti specifici, non solo nel fumetto italiano – e a ben pensarci, potrebbe essere che questo tipo di genesi abbia influito sulla tendenza di proporre in storie auto conclusive invece che continuate nel tempo – rendendo di fatto protagonista il genere più dello stesso personaggio principale. Col passare degli anni il ruolo si è invertito, anche grazie al successo di personaggi che oggi consideriamo monumenti ma che al tempo erano per forza di cose veri e propri esperimenti sul campo, come Zagor o Dylan Dog.
Ma se oggi il personaggio risulta essere più importante del tipo di racconto, corriamo il rischio in alcuni casi di trovarci di fronte a storie ibride che valicano il letto del fiume cui appartengono. Ed è giusto così, intendiamoci: i protagonisti devono poter essere visti sotto diverse sfaccettature per acquistare spessore e resistere a decenni di uscite. Ma, c’è un ma.
Parlando di intrattenimento, un lettore vuole sapere a cosa va incontro prima ancora di vedere la copertina. C’è chi preferisce l’horror esoterico al thriller poliziesco, ad esempio. E quando uno vuole un horror esoterico, non dategli un thriller, diamine, dategli un horror esoterico. E ci sono milioni di sottogeneri che potrebbero essere esplorati, magari sulle testate satellite che ruotano attorno ai personaggi principali. E se… queste testate diventassero miniserie? E se queste miniserie venissero, di volta in volta, dedicate ad un personaggio diverso preso dalla continuity della quale abbiamo parlato prima? Non risulterebbe uno mondo fittizio ancora più consolidato in senso stretto? Io già mi vedo un comprimario di Dylan Dog dedicarsi solo allo splatter. Uno spettacolo. Non è forse questo uno dei punti forti dei manga che, ora come ora, dominano il mercato?
Il mondo fuori (dalle edicole, ma anche dentro)
Che poi c’è tutta un’altra Bonelli che è quella magari meno discussa, che si rinnova più spesso, che già è arrivata a quanto ho riportato nel secondo punto. E’ quella sia dei personaggi come Mercurio Loi, sia delle miniserie come Attica e che forse è la Bonelli che ad oggi mi piace di più. E’ quella che ci ha portato Il Confine (in redazione l’abbiamo amato e che lo continuiamo ad amare), o Cani Sciolti. E’ quella che nel tempo ha dato alla luce prodotti con un sapore nuovo, almeno per quanto riguarda il panorama fumettistico italiano, anticipando il fervore per il fantasy (che deflagrò con il film de Il Signore degli Anelli) con La stirpe di Elan agli inizi degli anni ’90, o ancor più di recente con Orfani e Terra, gettandosi a capofitto nella fantascienza catastrofista.
Ecco, per quel tipo di prodotto e distribuzione, io vorrei una potenza di fuoco maggiore, vorrei vedere più collane con storie che potremmo ricordare fra dieci anni come pezzi importanti della nostra formazione fumettistica. Certo, a qualcuno fa sicuramente piacere poter accarezzare una copertina rigida di una ennesima ristampa in edizione più lussuosa di quella lussuosa di prima e forse dal punto di vista commerciale è altamente più proficuo puntare sul cavallo che ha già vinto tante corse, ma siccome a me frega pazzi di prendere un fumetto per lasciarlo incellofanato in libreria, le edizioni porno lusso le trovo invadenti e mi sembrano ottime solo per disperdere le energie che andrebbero (sempre secondo la mia logica, cioè quella di uno che non caccia una lira) investite nel creare nuove proprietà intellettuali, che ci intrattengano e ci turbino e ci facciano desiderare di leggerne ancora, in una forma diversa dalla serie regolare che potenzialmente può andare avanti all’infinito. Insisterei sul rendere più dinamico quel segmento che un tempo era quello più stantio ed inflessibile, ovvero quello dedicato alle librerie, ma che oggi con le logiche di mercato in evoluzione è un interessante via per rimettersi a correre, con la fantasia e con le pubblicazioni.
Sono partito a scrivere questo pezzo credendo che avrei menato come un fabbro, ma da incendiario mi sa che mi sono ritrovato pompiere, dando giusto qualche punzecchiata. Me ne sono accorto soltanto stendendo le idee su carta. Sarà che alla Bonelli gli ho sempre voluto bene e che oggi più che mai gli auguro altri ottanta anni di splendida salute, o forse ho esorcizzato i miei veleni con altre realtà del mondo fumettaro. Fatto è che sono rimasto decisamente perplesso da come sia riuscito a smontarmi da solo e mi sono dovuto fermare per paura di finire a fare una sviolinata indecente.
Beh Dio, se decidi di esistere, almeno non farmi morire hipster, però.