Curon: gli ultracorpi in Alto Adige
Quando i registi Pietro Mollo e Lyda Patitucci si recarono nella località di Curon per i primi sopralluoghi non avevano chiaro in testa quale sarebbe stato l’elemento portante della serie TV sulla quale, da li a breve, avrebbero lavorato. Eppure la suggestiva località di Curon e la sua storia offrivano diversi spunti che sembravano raccontare una storia già scritta.
Curon Venosta è un comune italiano di circa 2000 anime della provincia autonomia di Bolzano in Trentino Alto Adige. Nel 1950 gli abitanti del paese di Curon furono costretti a raccogliere i loro affetti, abbandonare le loro abitazioni e trasferirsi più a monte, come un popolo indiano nelle riserve, per consentire la costruzione di una diga finalizzata alla produzione dell’energia elettrica. Le case furono distrutte con dell’esplosivo e tutto il paese fu sommerso dall’acqua. L’unica costruzione rimasta in piedi è il campanile della chiesa di Santa Caterina D’Alessandria, che oggi emerge imperioso dalle acque del lago venutosi a formare, il lago di Resia. Durante le gelate d’inverno , l’acqua del lago ghiaccia ed è possibile raggiungere il campanile a piedi. A tutta questa vicenda si accompagna anche un’antica leggenda per la quale, in alcune giornate, è ancora possibile udire lo scampanio del campanile, sebbene le campane furono rimosse prima della formazione del lago.
Durante il sopralluogo, un’abbondante nevicata si abbattette sul posto ed il paesaggio mutò improvvisamente aspetto. Fu allora che i registi e produttori capirono di come la natura era totalmente padrona di quel posto ed ebbero chiaro immediatamente che la serie avrebbe raccontato del rapporto dell’uomo con la natura stessa ed, in particolare, con la sua controparte animale.
La serie TV è presente nel catalogo Netflix dal 10 Giugno e si sviluppa nell’arco di 7 puntate della durata di 45 minuti circa.
La storia ruota intorno alla famiglia Raina , un tempo famiglia ricca e reggente ed oggi caduta in disgrazia e vittima del risentimento dalla popolazione di Curon a causa della decisione, presa unilateralmente, di inabissare il vecchio paese per la costruzione della diga.
La vicenda inizia con Anna Raina, la quale decide di fuggire da Pietro, marito alcolizzato e violento, di abbandonare Milano e di tornare nella sua terra natia , appunto la località di Curon, portando con se i suoi due figli gemelli e adolescenti, Mauro e Daria, affatto convinti del trasferimento. Scelta ancor più sofferta perché Curon , per Anna, nasconde un passato oscuro e traumatico legato al suicidio della madre.
Ad accogliergli trovano il padre di Anna, Thomas, unico rappresentante della famiglia Raina rimasto stabilmente a Curon. Trovano inoltre un paese bigotto, ricoperto di simboli religiosi e dedito alla superstizione. Thomas e tutti gli abitanti del paese sono infatti ossessionati dalla maledizione delle ombre. Una maledizione che colpisce chiunque ascolti il suono delle campane della chiesa di Santa Caterina. Le vittime della maledizione sono perseguitate da un proprio doppio malvagio e violento che gli infligge ogni forma di violenza psicologica a fisica, fino a portarle alla morte e allo loro sostituzione. Thomas prova con forza a dissuadere Anna nel rimanere a Curon ma la testardaggine di Anna convince il vecchio ad ospitarli nell’albergo di famiglia.
Comincia così per gli adolescenti Daria e Mauro il difficile inserimento nella comunità di Curon, reso complicato dall’oscuro passato della famiglia Raina , dall’ostracismo degli abitanti del paese verso persone che arrivano dalla città e dalla maledizione delle ombre che sembra condizionare i comportamenti di tutta la comunità.
Il fattore scatenante che da inizio alla storia però è l’improvvisa scomparsa di Anna. Evento che porta Mauro e Daria alla ricerca della madre e a scandagliare tutti gli oscuri segreti di Curon e dei suoi abitanti, nonchè a fare i conti con la maledizione delle ombre.
“Dentro di noi vivono due lupi. Uno è il lupo calmo, gentile, l’altro è il lupo oscuro, rabbioso, spietato. Lottano per il controllo della nostra anima“
Il tema del dualità è un topos letterario piuttosto abusato. Ha origine fin dall’antica Grecia ma trova la massima espressione nel tardo ottocento con opere immortali come “Lo strano caso del Dottor Jekyll e Mr Hyde” di Louis Stevenson oppure “Il ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wilde. Ognuno ha affrontato questo tema enfatizzando alcuni aspetti piuttosto che altri. Nel romanzo di Stevenson, ad esempio, viene dato risalto alla contrapposizione tra luce e oscurità, la convivenza di due personalità nello stesso individuo, una positiva e l’altra negativa. Nel romanzo di Oscar Wilde invece il tema viene affrontato ad un livello più estetico e spirituale.
Il doppio in Curon si avvicina più allo stilema narrativo del romanzo di Stevenson. Il concetto alla base è che in ognuno di noi vive una nostra versione animale, cinica e repressa, pronta ad emergere quando il livello di frustrazione che si prova di fronte alle avversità della vita supera i livelli di soglia. Il tutto viene contestualizzato all’interno di uno scenario che è esso stesso il trionfo della natura selvaggia ed animale. La controparte malvagia emerge sinistramente dalle acque del lago di Resia e i lupi selvatici, elemento essenziale dell’ecosistema della valle, sono gli unici esseri sensibili alla presenza del doppelganger. Questa caratterizzazione dona originalità e nuova linfa ad un tema che rischiava fortemente di risultare stereotipato.
La fotografia rende perfettamente giustizia grazie ad un’ambientazione cupa ed onirica che si sposa enormemente con location e alla scelta di colori freddi e scuri. Abbiamo apprezzato anche la recitazione, soprattutto degli attori più giovani e praticamente debuttanti (o quasi): in particolar modo spicca la prova attoriale del ventiduenne Federico Russo nella parte di Mauro, personaggio con il quale non si farà fatica ad empatizzare. Forse il personaggio meglio riuscito e caratterizzato della serie. Una menzione particolare a Luca Lionello, attore e doppiatore figlio del più celebre Oreste, che interpreta il vecchio Thomas: una recitazione minimalista, sussurrata e fatta di lunghi silenzi. Un approccio che ben si sposa con le atmosfere dark della serie.
Eppure ci sono troppe cose che non funzionano in Curon.
Ci troviamo di fronte ad un soggetto molto valido e ricco di spunti, vanificato però da una sceneggiatura debole e priva di approfondimenti. Approfondimenti che sono necessari in una storia di formazione quale vuole essere Curon.
Una delle principali regole della scrittura, lo “Show, don’t tell”, viene bellamente calpestata. Fin dai primi minuti della serie ci viene mostrato tutto dalla famiglia Raina, ci viene svelato il passato oscuro e traumatico che l’affligge, ci viene subito detto che ci troveremo di fronte ad una storia di doppelganger violenti e spietati. Sappiamo da subito riconoscere senza ambiguità chi è il doppio e chi è la controparte originale. Sarebbe stato invece interessante instillare nello spettatore il dubbio su chi potersi fidare, al fine di enfatizzare la sensazione di paranoia che è essenziale in una serie come Curon. Ci viene mostrato tutto e subito lasciando allo spettatore pochi dubbi, la cui risoluzione peraltro, viene demandata ad una probabile seconda stagione.
Ci saremmo aspettati un maggior approfondimento psicologico dei doppelganger. Non necessariamente il doppio deve essere una creatura violenta e spietata come ci viene presentata in Curon. Questo aspetto viene solamente sfiorato nel personaggio di Albert Asper, uno dei residenti del paese che, in un flusso di coscienza finale, decide di farla finita.
I personaggi , ad esclusione di Mauro, sono male caratterizzati e , nella migliore delle ipotesi, poco approfonditi. Daria è lo stereotipo forzato dell’adolescente alternativa e sempre “contro”. Una caratterizzazione che la rende decisamente antipatica e , soprattutto, poco credibile in un contesto bigotto e chiuso come un paesino di montagna. Discorso simile per Micky Asper, una ragazza nativa di Curon figlia di Albert Asper e compagna di scuola dei gemelli Rania. Durante la storia, Micky scopre le sue tendenze omosessuali. Ci saremmo aspettati un approfondimento maggiore di questa dinamica: non deve essere facile scoprirsi omosessuali in un piccolo paesino di montagna, chiuso mentalmente e dedito alla religione. Il disappunto della comunità viene espresso solamente da una scritta sulla scuola che i ragazzi frequentano e che, per quanto divertente , forse rappresenta la cosa meglio riuscita di tutta la sceneggiatura.
Ed infine una menzione a parte merita la colonna sonora. Una presenza costante, assordante e che strizza l’occhio verso un target di pubblico adolescenziale. Ma che si inserisce in atmosfere cupe, silenziose, horror, quindi assolutamente fuori contesto. Probabilmente l’intento era di dare enfasi al ritmo ed aumentare il livello di tensione. L’effetto prodotto è esattamente l’opposto: la colonna sonora è l’elemento che spezza il ritmo della narrazione ed azzera completamente la tensione nella storia, dando il colpo di grazia finale ad una serie tv ambiziosa ma con tanti problemi.
E’ con grande rammarico che chiudiamo questa recensione descrivendo Curon come un grande occasione mancata. Una serie tv italiana con un buon soggetto, fatta da registi e attori italiani molto giovani e dei quali sentiremo parlare in futuro, che si svolge in una location italiana ed unica al mondo e trasmessa in 190 paesi tramite la piattaforma Netflix. Tutti elementi che avrebbero meritato una sceneggiatura e uno sviluppo all’altezza dell’ambizione del progetto.