Roman Ritual – Recensione
Amato, lodato, frainteso e spesso vilipeso. Il contraddittorio che scaturisce dal genere horror è di sicuro notevole. Affronteremo poi la materia in un altro articolo un pizzico più approfondito; per il momento proviamo a puntare il faro su un particolare filone all’interno di questo simpatico gioco di scatole cinesi che è quello delle categorie e sottocategorie, ovvero l’horror spagnolo.
Le produzioni ispaniche di fumetti non godono, qui da noi, di grande diffusione, pur essendo invece una fucina altamente prolifica. Diverso invece è il discorso riguardante il cinema dei nostri cuginiS latiniS, che ha vissuto e sta tuttora vivendo una vera e propria primavera commerciale, che ci ha letteralmente sommerso di produzioni – di varia caratura – in grado di catalizzare spesso e volentieri l’attenzione internazionale.
Sono cosciente di avere la tendenza a partire per la tangente, so che sto cominciando a parlare di tutt’altro come è mio solito, ma vedete, tralasciare il contesto lo trovo disdicevole, mi sento in dovere di percorrere la strada lunga, portate pazienza.
Oppure no, tanto lo faccio lo stesso.
Dicevamo, il cinema spagnolo. Diamine se ha tirato fuori chicche interessanti, anche fuori dall’autoriale. Assestando alcuni fendenti precisi, ha riscoperto la commedia prima che lo facessero i francesi, per poi andare a colpire quello che è il cuore pulsante del settore, che lo si voglia ammettere oppure no: il cinema di genere. Una fantascienza credibile, al giorno d’oggi se la possono permettere in pochi. Ma l’horror, perbacco, quello possono farlo tutti, od almeno tutti quelli che hanno buone idee e conoscenze tecniche. E li, gli spagnoli, sono riusciti a ribaltare il tavolo, prepotentemente. REC è stato per certo l’esempio lampante di quanto gli spettatori siano bramosi di cacarsi sotto e di come, con poco denaro, mettendo in campo competenza focalizzata, si possano raggiungere atmosfere e traguardi di una certa consistenza. Insomma, REC è arrivato ad essere una sorta di erede spirituale di 28 giorni dopo, di un certo Danny Boyle, scusate se è poco.
Non sto qui a tirar i giù una lista fino ad arrivare alle più recenti produzioni Netflix, ma per quanto riguarda la tematica, sono stati in gamba a portare avanti il filone (ma anche ad esplorare altri lidi, basti pensare al successo, forse meritato solo in parte della Casa di carta).
Tornando ai fumetti, Roman Ritual è per molti aspetti uno storyboard più elaborato di una trama che sembra essere pensata con tempi cinematografici, prendendo, nel bene e nel male, le caratteristiche di un lungometraggio.
Innanzitutto, abbiamo dei ritmi che possono essere considerati da pellicola. Ogni tavola rappresenta l’azione nel presente, con scene e dialoghi che possiamo immaginare svolte nell’arco di uno o due minuti (almeno la maggior parte di esse) portandoci a pensare che in quel centinaio di pagine si nasconda un lungometraggio di un paio d’ore. El Torres tratta il fumetto comprimendo lo “spazio bianco” dove il lettore deve immaginare, mostrando praticamente tutto. Una cronologia così stretta, cucita sul personaggio, con poche volate qua e là della telecamera oltre il punto di vista principale, è una manna dal cielo per una lettura rapida e scorrevole, dove il “qui ed ora” se la comanda. Questo porta di sicuro ad un assottigliamento dello spessore dei comprimari e delle motivazioni degli stessi, ma è lo scotto da pagare per uno svolgimento così rapido, tipico dei thriller d’azione.
Mi tocca aprire un altro breve inciso per spiegare il motivo per il quale non abbia detto “horror” nell’ultima frase: il genere, seppur basandosi sugli stessi tòpoi, è soggetto ad evoluzioni costanti che ne modellano la forma. Di recente, il pensiero prevalente è quello di mescolare il genere classico ai thriller investigativi e, nei casi più intraprendenti, all’action puro. Le ramificazioni sono varie e difficili da citare tutte, in questo caso ci riferiamo esplicitamente alla struttura solida e classica dei thriller d’azione, appunto.
L’idea di base è interessante, seppur non innovativa. Sovrapporre il racconto fantastico a fatti di cronaca, cercando di trovarne una connotazione sovrannaturale ( non entrerò nello specifico per non rivelare troppo, ma sappiate che troverete personaggi più che noti e realmente esistiti, pur se con dei nomi cambiati). Qui ci riallacciamo nuovamente al cinema, notando l’assonanza con un titolo come Veronica – presente su Netflix, se siete curiosi – dove si va a battere la stessa strada, facendo partecipare fatti veri e paranormale, mischiando le carte e mitizzando l’accaduto come succede con i mockumentary, lasciando nel profondo dello spettatore quel dubbio sul confine che separa il vero dalla finzione. Qui, visti gli organi coinvolti e la maggiore risonanza di ciò che è accaduto nella realtà, probabilmente non si riesce a stimolare le stesse corde. Anzi, confrontandomi col nostro Candido Umberto trismegisto, è uscito fuori che per lui è stato quello l’elemento di distacco dalla storia, che lo ha riportato coi piedi per terra, tirandolo fuori dall’immedesimazione. Non sono sicuro abbia sortito lo stesso effetto su di me, essendo così veloce nella successione delle tavole – anche per la loro gabbia piuttosto classica, condita solo di una cornice frastagliata a dare idea di movimento – probabilmente non ho avuto veramente il tempo di sentirmi fuori dalla scena. Mia moglie, d’altro canto, molto suscettibile agli elementi horrorifici relativi agli esorcismi, ha avuto questa sensazione soltanto nel finale, dove ha trovato la risoluzione un pelo sbrigativa, lodando invece l’intreccio scorrevole.
Una piccola nota la voglio lasciare sulla parte grafica, che fa il suo dovere proponendo suggestioni degne, che non riporterò nelle foto perché perderebbero il loro effetto jump scare, che per un fumetto è complicato da mettere in atto. Cosa invece che non ho gradito è stata la sensazione fotoritocco. Se avete letto e ricordate il più che meritevole ciclo di Bendis e Maleev su Daredevil, già avete un’idea di cosa parlo. In certi momenti sembra che escano fuori i riferimenti fotografici, scavalcando il disegno e quello proprio no, non l’apprezzo.
In conclusione mi sento di dire che il lavoro di El Torres è di estrema validità, inquadrato nella sua sfera di appartenenza. Leviathan Labs ha avuto l’occhio lungo nel portare un prodotto che può essere diretto davvero a tutti (gli adulti, si intende) per un intrattenimento che ho trovato piacevole, da consumare in fretta, che merita il suo posto nel nostro mercato.
Abbiamo Parlato di Roman Ritual
Autori: El Torres, Jaime Martinez, Sandra Molina
Edito da Leviathan Labs
Prezzo 15 Euro, versione digitale 3,99 Euro
Recesound: Turbo killer – Carpenter Brut