Occupied
Non so a voi ma a me è capitato più volte nel corso dell’esistenza, magari dopo la visione di un film o la lettura di qualche testo riguardanti la seconda guerra mondiale, di chiedermi come potesse essere vivere in un paese occupato da forze straniere magari non violentemente ostili ma comunque limitatrici della nostra libertà e sovranità.
La risposta a questa domanda potrebbe darla Occupied, produzione franco-norvegese del 2015 trasmessa per le prime due stagioni su Netflix, una serie che non è certo una novità nel panorama televisivo ma che, nonostante un argomento “di nicchia” ed una mancanza quasi assoluta di pubblicità, merita assolutamente di essere vista.
In breve la trama si sviluppa descrivendo uno scenario fantapolitico in cui l’Unione Europea, pur restando nei limiti di una legalità che tanto sembra ingiustizia violenta, si serve di una Russia ben felice di stare al gioco, per sfruttare le risorse petrolifere della Norvegia che intende invece rinunciare alle energie inquinanti.
E fin qui possiamo immaginare uno svolgimento quasi classico, con protagonisti i politici, gli imprenditori e gli eroici soldati impegnati tutti quanti a dirimere la questione per la maggior gloria della propria fazione… invece Occupied ci stupisce andando a sviscerare in profondità gli aspetti davvero più umani della situazione.
Nessuno dei protagonisti, davvero ben assortiti e campione rappresentativo di quasi ogni aspetto sociale di una nazione e dei suoi lavoratori, risulta essere monodimensionale od inutile allo svolgimento della trama; è davvero naturale sentirsi in sintonia con le azioni ma soprattutto con i profondi dubbi morali che guidano ciascun personaggio nelle scelte che è costretto a fare.
Sembra quasi di trovarsi davanti ad uno specchio che riflette quello che davvero ciascuno di noi farebbe messo nelle stesse situazioni che i protagonisti devono affrontare e questo ci costringe spesso a considerare quanto profonde e radicate siano le nostre convinzioni e quanto soprattutto siano nobili o, viceversa, dettate da opportunismo e codardia.
Non stupisce che dietro questo progetto ci sia la mente creativa dello scrittore norvegese – ovviamente – Jo Nesbo; si vede la mano del romanziere esperto e capace sia nello sviluppo naturale della trama, dove nulla è lasciato al caso e ogni singolo avvenimento è l’inevitabile conseguenza di ciò che viene prima, sia nell’ approfondimento psicologico dei personaggi e di ciò che li guida nelle proprie decisioni regalando figure realmente credibili nel loro modo di muoversi in una rappresentazione televisiva.
A ben pensarci fatico a ricordare un solo personaggio di cui non sia riuscito a giustificare i comportamenti od a trovarli volutamente crudeli oppure incomprensibili anche quando l’esito delle scelte fatte porta a conseguenze drammatiche per sé o per gli altri.
E questo mi riporta alla domanda iniziale su come pensavo potesse essere vivere sotto occupazione straniera… credo che la risposta più vera sia che una situazione del genere mette a nudo l’animo (l’anima?) di ciascuno, facendo emergere quello che realmente siamo e quello che davvero ha per noi valore senza necessariamente fare di noi eroi o traditori ma solo uomini e donne consapevoli di sé stessi.
Dal punto di vista più strettamente cinematografico la serie risente inevitabilmente dell’ambientazione scandinava, con una fotografia dai toni generalmente freddi ma che virano verso tonalità più solari nelle non frequenti occasioni in cui l’azione diventa predominante sull’aspetto riflessivo.
Scene urbane di città simili a quelle in cui tutti siamo abituati a vivere si alternano a panorami di natura incontaminata, quasi sempre però macchiata dal sangue di qualcuno o dalle esplosioni di qualche architettura industriale… quasi a voler rimandare lo spettatore ad un pensiero di condanna per chi insiste nel voler avvelenare il creato… (ma forse mi spingo un po’ troppo oltre con le supposizioni…).
Le musiche di Nicholas Sillitoe infine accompagnano lo svolgimento della trama senza risultare invasive ma, personalmente almeno, senza neppure farsi ricordare… forse con un po’ di coraggio in più si sarebbe potuto inserire qualche produzione indipendente, esponente di quel mondo che da sempre cerca di opporsi alle imposizioni esterne.
In conclusione credo di essermi trovato di fronte ad una serie che parla più al lato emozionale del carattere, accendendo però al contempo la razionalità critica dello spettatore e facendo sì che sia semplice ed assolutamente naturale l’immedesimarsi nelle vite di tutti i protagonisti ed allo stesso tempo in modo da rendere estremamente difficile rispondere al quesito iniziale “cosa farei io se…” ma soprattutto dimostrando come sia praticamente impossibile riuscire a stabilire quale comportamento sia “giusto” e quale “sbagliato” in situazioni così ricche di sfaccettature ed implicazioni concrete e morali.