Il Dylan Dog di Recchioni
La storia e l’evoluzione del Dylan Dog di Roberto Recchioni: Fase 1 (da Mater Morbi fino al 336)
Può una rivoluzione iniziare da un pronome? La risposta è “sì” nel caso di Dylan Dog e di tutto quello che è accaduto alla serie a partire dal fatidico albo 325 del settembre 2013. Fino a quel momento era consuetudine che il cosiddetto “pronome di cortesia” bonelliano fosse il “voi”. Sappiamo però che nel corso del tempo questa forma è stata ritenuta sempre più desueta, venendo progressivamente sostituita dal più moderno “lei”. Considerando anche il fatto che al “voi” sono associate imbarazzanti reminiscenze storiche, la primissima decisione presa nel nuovo Dylan Dog recchioniano fu quella di sostituire il “lei” con il “voi”.
Ma chi era questo Roberto Recchioni al quale venne affidato il delicato compito di rinnovare una testata leggendaria come quella dell’Indagatore dell’Incubo? Quando Il 20 maggio 2013, l’allora direttore editoriale della Sergio Bonelli Editore, Mauro Marcheselli, annunciò che Recchioni sarebbe stato il nuovo curatore di Dylan Dog, il futuro “Magister” (classe 1974) veniva già da anni di successi professionali. Aveva lavorato per Astorina, Magic Press, Eura, Panini e Disney. Inoltre Detective Dante, John Doe e la serie Orfani erano sue creature. Forse dimentico qualcosa ma certamente tutti ricordano il suo esordio come sceneggiatore su Dylan Dog: il 280 “Mater Morbi”.
Per un disegnatore e sceneggiatore che ha vissuto la propria gioventù tra gli anni ‘80 e ‘90, Dylan Dog prima che un traguardo professionale era un vero e proprio mito. Quindi per Recchioni il fatto di passare da semplice ragazzino lettore (iniziò con il numero 5 “Gli uccisori”) al ruolo di Curatore con il placet della leggenda Tiziano Sclavi fu il coronamento di una carriera. Nel suo primo “Dylan Dog Horror Club” Roberto annunciò che la rivoluzione dylaniata sarebbe avvenuta in fasi.
Nella prima, che parte dal 325 “Una nuova vita” ed arriva fino al 336 “Brucia, strega… brucia!” e della quale presenteremo cinque albi significativi, il personaggio non avrebbe avuto grandi stravolgimenti. Semplicemente si sarebbero revisionate delle sceneggiature già pronte, per renderle più armoniche con la fase successiva, nella quale poi sarebbero avvenute le scelte narrative più significative. Ecco quindi i primi cinque passi verso il futuro di Dylan, partendo però dall’antefatto, ovverosia il 280 “Mater Morbi”.
DYLAN DOG 280 – “MATER MORBI”
- Data di uscita: Dicembre 2009
- Sceneggiatura: Roberto Recchioni
- Disegni: Massimo Carnevale
- Copertina: Angelo Stano
Il confronto con il nostro peggiore demone è qualcosa che non ammette pareggi: o si è vincitori o si è vinti. Ognuno ha il suo, quello di Recchioni era ed è la malattia. La prima sceneggiatura è quindi decisamente autobiografica e nasce dal bagaglio della sua esperienza. La copertina è disegnata da Stano, ma l’idea del soggetto, quella dell’albero del dolore, che avvinghia le proprie prede e le tormenta, è parto dell’immaginario recchioniano. Dalle sue spirali ci si potrà anche liberare, ma è una fortuna che non tocca a tutti ed avviene comunque a prezzo di sacrifici e di una innocenza perduta per sempre. E’ interessante l’osservazione secondo la quale la malattia non è mai celebrata. Persino la guerra e la morte hanno tante celebrazioni, che ne raccontano le gesta e gli eventi, ma la malattia mai.
La storia prende le mosse da Dylan che avverte una vaga sintomatologia, che poi si rivelerà più grave del previsto. Di lì partirà il suo calvario in un cupo ospedale. Verranno affrontati anche gli spinosi temi dell’eutanasia e della malattia pediatrica. Memorabile ed iconica personificazione di Mater Morbi come una bellissima donna in abbigliamento sadomaso, che reclama senza pietà i propri “slave” da tormentare. “Mater Morbi” è certamente uno dei migliori albi dell’era post sclaviana ed è stato giustamente celebrato anche con edizioni in cartonato.
DYLAN DOG 325 – “UNA NUOVA VITA”
- Data di uscita: Settembre 2013
- Sceneggiatura e Disegni: Carlo Ambrosini
- Copertina: Angelo Stano
Cosa lega il soldato francese Doinel, ferito sul fronte occidentale franco-tedesco della prima guerra mondiale, e il Dottor Walcott, depresso medico inglese del ventunesimo secolo? All’apparenza nulla, ma in realtà tra di loro c’è il Maligno, che come al solito è ingannatore e distribuisce momenti di facile felicità, che poi si rivelano avere un prezzo altissimo. Walcott cade nell’inganno poiché vive una situazione tragica: ossia il dover da solo mantenere suo fratello Edmond, a causa della prematura morte dei loro genitori. Questi è molto più giovane di lui e gravemente disabile e di fatto Walcott gli sacrifica l’intera vita e gli affetti dei quali avrebbe bisogno. Come spesso capita, Ambrosini costruisce storie in bilico tra spazio e tempo, disseminate di tematiche esistenziali e oniriche. Qui tra i protagonisti c’è anche l’inquietante Arlecchino bambino, che poi ritroveremo in altre storie.
Questo albo però non è tanto importante per la trama (ha anche elementi forzati e prevedibili) e le tavole, anzi si tratta di una delle prove meno convincenti del Maestro Ambrosini, ma poiché è di qui che comincia “Una Nuova Vita” per l’Indagatore dell’Incubo. L’idea è efficacemente rappresentata dalla copertina di Stano, con Dylan che si toglie le bende per rivelare il suo nuovo volto. Di fatto però il lettore potrebbe rimanere deluso, se cerca grandi cambiamenti nella caratterizzazione di Dylan.
DYLAN DOG – 328 “TRASH ISLAND”
- Data di uscita: Dicembre 2013
- Sceneggiatura: Luigi Mignacco
- Disegni: Nicola Mari
- Copertina: Angelo Stano
Trash Island è un’isola inglese disabitata da tempo, sulla quale si dice che venissero effettuati esperimenti da parte dell’esercito inglese. Dylan è reclutato, insieme ad altri due personaggi con poteri simili ma filosofie diverse, per sbarcare sull’isola e indagare sulla misteriosa scomparsa di alcuni ragazzi che vi si erano recati per provare il brivido del mistero. Effettivamente cose strane accadono, infatti si trova a fronteggiare zombie e spiriti di “freakettoni” anni ‘70. E se dietro alla richiesta di soccorso ci fosse qualcosa di losco? La parola inglese trash nel titolo regala lo spunto a Recchioni per fare nell’introduzione una disamina veloce di ciò che è trash nella cultura popolare: siano essi film, musica (ad esempio Alice Cooper e il suo capolavoro chiamato appunto “Trash”) e fumetti, per i quali viene citato il mitico Splatter, vera e propria rivista di culto pubblicata tra il 1989 e il 1991. Nell’albo inoltre ci sono svariate citazioni musicali tra le quali Led Zeppelin, Gorillaz, Beatles (la barca utilizzata si chiama Lucy in the Sea with diamond). Una storia divertente e fragorosa, ben supportata da Mari. Copertina rock come tutto il resto dell’albo.
DYLAN DOG 333 – “I RAMINGHI DELL’AUTUNNO”
- Data di uscita: maggio 2014
- Disegno e Sceneggiatura: Fabio Celoni
- Copertina: Angelo Stano
E’ uno di quegli albi in cui un solo autore “se le canta e se le suona”, in questo caso Fabio Celoni. Partiamo dai disegni: sono super dettagliati, lo sono talmente tanto da quasi affaticare la vista. Insomma, un’opera assolutamente certosina. La storia prende spunto da riferimenti letterari (“Il popolo dell’autunno” di Bradbury) e cinematografici, infatti nell’introduzione Recchioni parla brevemente del rapporto fra i pagliacci e il mondo dell’horror, come nel leggendario “It” di Stephen King. Si parla di pagliacci perché, come si intuisce dalla copertina, la storia racconta di un circo equestre che in pieno autunno passa per Londra. E’ un circo a tema horror, quindi è popolato da freak e l’intrattenimento avviene con numeri che hanno l’obiettivo di spaventare il pubblico. Dylan è molto perplesso e non sembra gradire lo spettacolo circense, se non fosse che Groucho l’ha abbandonato per aggregarsi alla compagnia. L’obiettivo è quindi quello di recuperare a tutti i costi l’amico. Purtroppo però il nervosissimo Dylan Dog si trova sballottato e anche strumentalizzato dai membri della compagnia, trovandosi suo malgrado al centro di uno degli spettacoli in scena.
E’ un albo che frastorna il lettore proprio come fanno certe musiche da circo sparate a tutto volume. L’azione è intensa e intricata, le tavole spettacolari e la trama non è banale. Dylan inizia a confrontarsi con una tematica che diventerà cruciale nel seguito del periodo recchioniano: il suo rapporto con Groucho. Venghino signori venghino al numero 666 diviso 2 di Dylan: il 333
DYLAN DOG 334 – “LA PAGA DELL’INFERNO”
- Data di uscita: Giugno 2014
- Sceneggiatura: Giovanni Di Gregorio
- Disegni: Daniele Bigliardo
- Copertina: Angelo Stano
L’unica certezza che abbiamo nella vita è che si muore una sola volta. Dylan è però Dylan e a lui viene concesso in questo albo di morire più volte, tra l’altro ravvicinatamente. Nel nostro mondo i medici che lo assistono giudicano il suo ritorno nel mondo dei vivi un miracolo inspiegabile, ma nell’altro mondo, quello dei morti, il tutto ha una logica ben precisa. Come sappiamo, l’aldilà immaginato da Sclavi è un mega ufficio governato da una burocrazia onnipresente e insulsa. Accade però che l’eterna routine infernale viene spezzata da un serial killer di morti! Per questo il Direttore degli Inferni è costretto a chiedere la consulenza part time dell’Indagatore dell’Incubo. Non può convocarlo per sempre, facendolo morire, perché non è giunta ancora la sua ora, quindi gli concede dei biglietti di andata e ritorno dall’Irreparabile.
Gli Inferni sclaviani sono un must, un’idea geniale che i lettori dylaniati adorano. Capita che ciclicamente ritornino, proponendoci vicende dai toni kafkiani. Questa non fa eccezione e si lascia leggere con piacere, anche grazie alle dosi di splatter. Rimane però la sensazione di un racconto abbastanza prevedibile. Efficaci le tavole di Bigliardo. Esistono dei canoni ben definiti nella rappresentazione dell’Inferno dylaniato e l’artista li mette efficacemente su carta. Innovativa la copertina di Stano. Il tono è pop con dei riferimenti all’estetica sovietica, visto il martello e lo sfondo rosso. Scelta intrigante, ma non corrispondente alla vicenda raccontata. Inoltre vi invito a cercare la cover art dell’album “Construction time again” dei Depeche Mode. Ci vedrete una curiosa somiglianza con quella dell’albo.
In questa prima fase piuttosto che nelle storie, l’impronta recchioniana si nota nel “Dylan Dog Horror Club”, ovverosia nei redazionali. E’ qui che “rrobe” mette in mostra il suo enorme background di cultura pop e rock, consigliando il lettore e stimolandone la curiosità. Non abbiamo quindi il super citazionismo, che sarà una prerogativa delle fasi successive, ma vengono comunque indicati riferimenti e spunti che in qualche modo si collegano all’albo. Recchioni inoltre inizia a confrontarsi con quello che sarà un tormentone della sua gestione, che avrà sfogo anche su tutti i social che assiduamente frequenta: le polemiche. Nei primi tempi della sua gestione paradossalmente il lettore si lamenta dei pochi cambiamenti. Probabilmente perché il lungo periodo del post Sclavi aveva un po’ alla volta eroso l’autorevolezza della testata, quindi ci si aspettava qualcosa che desse la scossa. Sappiamo però che successivamente sarebbe accaduto il contrario, ovverosia polemiche per i troppi cambiamenti, ma questo sarà oggetto dei successivi articoli sulla storia del Dylan Dog recchioniano.