Le variazioni d’Orsay
C’è chi ama Parigi e c’è chi invece mente.
Io appartengo, senza il minimo pudore nel sottolinearlo ad ogni occasione, alla prima categoria e quindi mi è stato praticamente impossibile non rispondere all’adescamento messo in atto da Oblomov Edizioni con la copertina del suo volume Le variazioni d’Orsay di Manuele Fior; appena adocchiato il disegno art nouveau sulla prima pagina del volume è stato per me immediato mettere questo graphic novel così particolare in cima alla lista dei desideri.
Mi sono subito immerso nella lettura della settantina di pagine che costituiscono il racconto e mi sono trovato trascinato quasi fisicamente nel mondo della Parigi di fine ottocento, come se fossi il protagonista di un film di Woody Allen che sembra toccare le stesse corde del mio cuore che sono stuzzicate dall’opera di Fior. E più leggevo, più mi rendevo conto che questa volta non sarebbe stato facile scrivere qualcosa di almeno accettabile su quanto ammirato… e questo non certo per scarso valore dell’opera ma per manifesta incapacità mia di restituire a parole quello che l’autore riesce a trasmettere con i suoi disegni e la sua impostazione del racconto, o meglio con il senso ed il modo di dare vita al suo pensiero su questa corrente artistica e sull’Arte più in generale.
Ragionando sul perché di questa difficoltà a rendere intelligibile ciò che suscita in me la lettura delle Variazioni d’Orsay, ad un certo punto mi sono reso conto che si tratta di impressionisti e che quindi avrei dovuto lasciarmi andare e farmi guidare dalle sensazioni, dalle impressioni appunto, che emergono spontanee dal contatto con le pagine. Da subito ci troviamo immersi in un racconto che spazia dal 1870 ai giorni nostri, passando dalla vita di semplici cittadini a quella di artisti come Ingres, Degas e Valéry; dai sogni di pittori che si affacciano al successo alla fine del diciannovesimo secolo, al sogno incredibilmente reale di una custode del museo d’Orsay… E’ tutto un susseguirsi di stimolazioni, di suggestioni, di impressioni – ovviamente – che ci permettono di immedesimarci per un momento in quella che era la vita di un giovane pittore che cerca di imparare da un maestro che lo condanna, perché l’Arte sempre a qualcosa condanna, a perdere quasi la vista a causa delle linee nascoste anche sotto ai colori ma che, pur alla fine del suo cammino, riesce a commuoversi davanti ad una tela di quel suo stesso maestro; ed il racconto continua insegnandoci che tali sensazioni ci possono dare sempre la possibilità di addormentarci e sognare insieme ad una custode del museo arrivando a passeggiare fin nei sotterranei della Gare d’Orsay dove riposano i tanti capolavori custoditi nel museo.
Questo mio scritto sembra tutto un guazzabuglio di frasi senza un filo logico ma in realtà lo sviluppo delle tavole si dipana naturalmente ed in modo fluido appunto con le regole del sogno, dove i limiti fastidiosamente dovuti alla nostra fisicità sono annullati e possiamo facilmente fare ciò che vogliamo in modo da avere un contatto più diretto con ciò che può dare un senso alla nostra vita, con ciò che l’Arte cerca di spiegarci.
Nel corso del viaggio, onirico e reale al tempo stesso, ci troviamo ad avere a che fare con i maggiori esponenti dell’impressionismo Henry (Rousseau), Claude (Monet), Edmond (Delacroix), Auguste (Renoir), Paul (Gauguin), Edgar (Degas), Berthe (Morisot)… e con molte loro opere; la resa grafica di Fior di molti quadri è un qualcosa di davvero speciale: il disegnatore italiano riesce infatti a rappresentare nello stesso tempo i quadri seguendo l’originale singolarità degli stessi ma insieme riesce a “reinterpretarli” guardandoli sotto una nuova luce e con occhi nuovi. Sono ancora colpito dalla resa de La sorgente di Ingres che sembra avere quasi un’interpretazione che richiama un altro pittore, italiano e livornese, anch’egli legato alla città di Parigi ma posteriore al gruppo degli impressionisti qui raccontato, oppure rimango senza fiato dal vedere uno scorcio della moderne Olympia di Cézanne che sembra essere realizzata quasi da Gauguin…
Pagina dopo pagina ci si imbatte con piacere in numerosi altri capolavori, e così ci troviamo davanti a rapidi ma indimenticabili accenni a Semiramide alla costruzione di Babilonia (Degas) oppure a Ruggero che libera Angelica (Ingres), al Rimorso (Baader) o all’Incantatrice di serpenti (Rousseau) senza dimenticare ovviamente Monet con le sue impressione, sorgere del sole e la Gare saint Lazare e l’autoritratto di Gauguin… Tutte queste citazioni sono assolutamente funzionali al racconto e non risultano minimamente pesanti né inopportune ed anzi sono uno stimolo continuo ad approfondire l’argomento culturale ed a cercare sempre nuovi collegamenti tra tutto ciò che vediamo.
Fior affronta la rappresentazione grafica del suo racconto, o meglio del suo omaggio, utilizzando la tecnica del “guazzo” tecnica che rende i colori a tempera più simili alla pittura ad olio e che si adatta perfettamente al taglio della narrazione ed all’argomento trattato, avvicinandosi allo stile degli artisti descritti; non è difficile neanche vedere come egli stesso segua il consiglio dato a Degas dal maestro Ingres sul disegnare con più linee e rafforzi le sue tavole “facendo correre la matita” confermando la tesi che così “si diventa un buon artista”.
Anche nel modo di disegnare, l’autore, pur mantenendo il suo tratto distintivo, riesce ad adattare il proprio stile a quello delle opere dei pittori parigini conservate nel museo e così non è difficile trovare tracce di Toulouse-Lautrec o di Gauguin nei volti dei personaggi del racconto, tra i quali è autocitazione gradevole riconoscere Manuele Fior stesso che si ritrae nelle vesti del visitatore ammirato dalle realizzazioni di quelli che considera suoi maestri.
Rimane inoltre piacevolmente impresso il pensiero che le sale di ogni museo si animino dopo la chiusura ai visitatori, abitate ora dai protagonisti dei quadri appesi che finalmente possono riprendere vita e contaminarsi l’un l’altro in un crogiolo di esperienze che è il vero luogo dell’Arte; in questo modo è più facile anche per noi far lavorare la mente alla ricerca sempre di nuovi collegamenti suggeriti da tali stimolazioni. E che questo volume sia un invito al viaggio, al movimento, al progresso è quasi suggerito da una piccola chicca: il libro inizia con il disegno di un ingresso della metropolitana – quegli splendidi ingressi art nouveau – che indica “le débout” e termina con uno che riporta “la fin” proprio a suggerire che il viaggio onirico e concreto di questa lettura ci dovrebbe aver portato “avanti” in un posto dove siamo migliori grazie a quello che le nostre “impressioni” ci hanno mostrato.
Quindi, alla fine di quello che non posso che chiamare un confuso e, temo, a tratti anche insensato sproloquio, devo dire che ho davvero apprezzato Le variazioni d’Orsay non solo per il valore davvero notevole dell’opera ma anche per la cura con la quale all’inizio di quest’anno è stata realizzata questa nuova pubblicazione in cartonato del volume del 2015, ottimamente rilegata e stampata su carta di pregio in modo da esaltare i disegni ed i colori di Manuele Fior; ritengo il libro uno dei più belli che la mia biblioteca possa annoverare e non posso dunque che consigliare di non perdere questa nuova edizione di un testo che ci mette di fronte a quanto sia difficoltoso ma al tempo stesso esaltante confrontarsi con il mondo dell’Arte in tutte le sue manifestazioni, fumetto compreso.
Recensione de il candido Umberto
Le variazioni d’Orsay di Manuele Fior Oblomov Edizioni 20,00 euro