Inès
Non è un’uscita recente questo volume scritto da Loic Dauvillier, disegnato da Jérome D’Aviau e portato in Italia da ReNoir Comics più di dieci anni fa ma quando mi sono imbattuto in lui tra gli scaffali della mia fumetteria non ho potuto fare a meno di prenderlo in mano e di essere completamente rapito dalla sua terribile e raccapricciante attualità ed universalità…
Inès è un volume che colpisce davvero con estrema violenza pur nella semplicità e nitidezza dei suoi tratti in bianco e nero e nella linearità della narrazione e dell’impostazione grafica delle tavole.
A questo proposito trovo la scelta del bianco e nero corretta ed intelligente in quanto evocativa soprattutto di una cosa: parlando di violenza, in particolar modo di quella domestica, credo non ci sia spazio per abbellire con il colore la verità ma si debba avere chiara e netta la separazione tra cosa è giusto e cosa no; quindi niente tinte pastello o sfumature adatte ai vari punti di vista ma solo la suddetta separazione tra giusto e sbagliato, tra bianco e nero appunto.
Nell’arco di due soli giorni assistiamo all’incubo quotidiano di una vittima che, logorata dal suo stesso carnefice e portata a credere quasi di meritarsi la propria punizione, non riesce in alcun modo né momento a ragionare lucidamente sull’inferno in cui si trova e sulle azioni da intraprendere per uscirne. E’ davvero doloroso vedere come una persona – di cui oltre tutto non sappiamo neppure il nome, così come non sappiamo neppure quello di suo marito, il suo aguzzino, quasi a voler sottolineare come le loro identità possano essere quelle di tutti noi – si trovi a vivere ogni istante della propria vita in uno stato di perenne ansia ed incertezza su cosa fare, cosa dire, addirittura cosa pensare…
Dauvillier è davvero bravo a farci capire nella descrizione di due semplici giorni quanta sofferenza e disperazione si sia accumulata in anni di vita della protagonista, anni fatti di vessazioni e violenza fisica e verbale (addirittura la più dolorosa come sottolinea la donna in una vignetta) alle quali non riusciamo in alcun modo a dare una giustificazione proprio perché giustificazione non può né deve esserci.
Nella narrazione stupisce la calma rassegnazione che guida la donna in ogni sua mossa, dal cucinare cercando di non ascoltare le parole di disprezzo del marito alle bugie raccontate per non portare la figlia a scuola facendosi vedere con i segni delle percosse subite e per poter passare con la bambina, unico vero motivo di gioia e speranza per resistere nella sua condizione, una mattinata di tranquillità. Sicuramente è la bimba il motivo della sua tenacia e del suo sacrificio nel restare accanto ad un uomo meschino ed abietto, ma al tempo stesso proprio la decisione di non andarsene da casa, forse solo per debolezza ma soprattutto – tristemente – per mancanza di appoggio esterno e di possibilità di ricevere aiuto, causerà l’inevitabile epilogo quando anche la piccola diventerà oggetto della rabbia dell’uomo.
Ogni singola tavola trasuda il dolore, la rassegnazione, l’incredulità che la donna prova nel condurre in questo modo la sua vita; con piccoli, veloci cenni a consuetudini quotidiane (il dormire sul divano od accanto alla figlia, le luci spente solo nel bagno in cui lei riesce a rifugiarsi, l’aver ormai da tempo rifiutato l’intimità con il marito) l’autore ci permette di avere ben chiara quella che è l’esistenza di una donna che vive non come persona ma come oggetto di proprietà altrui, mostrandoci i processi logici distorti in cui si può cadere cercando di comprendere – che follia! – un comportamento tossico e criminale… a tal proposito sono delle vere pugnalate al cuore i pensieri della donna quando si dice “è tutta colpa mia… non avrei dovuto provocarlo”; non è secondario il fatto che tali parole vengano disegnate in vignette nere, come a voler evidenziare che l’oscurità del luogo è metafora del buio dell’anima dove in momenti così dolorosi neanche la luce della ragione riesce ad arrivare.
E facilmente possiamo ritrovarci citati nelle vignette dell’opera se pensiamo a quanto di noi ci sia nei personaggi interpretati dai vicini di casa e del collega di lavoro del marito; persone comuni che assistono al dramma della donna, ne percepiscono evidentemente la concretezza e la pericolosità ma nulla fanno per dare un aiuto reale. Nonostante vedano i lividi e sentano le urla che scandiscono le giornate della donna, preferiscono voltare altrove lo sguardo od al più accontentarsi delle generiche giustificazioni del marito sui capricci della bambina. Davvero nella descrizione asciutta e rapida, un semplice accenno a volte, di queste manifestazioni della nostra vigliaccheria possiamo vedere tutta l’abilità dello sceneggiatore nel fornirci il quadro preciso delle cose senza perdersi in lunghe e narrativamente pesanti spiegazioni.
Graficamente parlando il tratto di D’Aviau è assolutamente perfetto per l’argomento trattato; linee pure, contorni netti tra luci ed ombre, una serie di immagini che restano a lungo nella memoria… penso alla rappresentazione dei lividi sul corpo della donna che sono quasi buchi neri che sembrano inghiottire tutto quello che capita loro accanto nutrendosi quasi anche dello spirito e della gioia di vivere, oppure alla figura del marito violento che viene disegnato come un’unica spessa ombra nera od ancora alla madre ed alla bambina abbracciate in una vignetta in cui la donna si trova su uno sfondo nero e la piccola invece su uno bianco oppure alla figura del marito furioso che cerca di sfondare la porta e che risulta essere quasi un gigante di rabbia chiuso nello spazio ristretto di un corridoio (e di una singola vignetta). Tante davvero sono le scene che si prestano ad un’analisi molto più profonda e ricca di più livelli d’interpretazione, rese con una semplicità di disegno che lascia capire come non si tratti di poca confidenza con il mezzo ma anzi sia indice di ricercata essenzialità.
Cosa rimane dopo la lettura di Inès? Personalmente trovo questo graphic novel davvero un’opera di grande valore per gli spunti di riflessione che offre: temo purtroppo che quasi chiunque di noi possa essersi imbattuto come spettatore in situazioni di malessere come quella descritta – sperando che le conseguenze finali non siano arrivate a tanto – e quindi credo che osservare, messo nero su bianco, il peso di tanto dolore sia di monito a non voltare mai lo sguardo ed a non rifiutare aiuto fingendo di non vedere.
Rimane un’immagine, quella di una piccola bambina stretta al suo coniglietto, che non capisce perché la sua mamma non ci sia più né può intuire la grandezza del sacrificio che è stato fatto. Una bambina salvata da un futuro di violenza ma per la quale inevitabilmente il devastante passato avrà conseguenze importanti. Sta a noi che facciamo parte del suo futuro fare in modo che il veleno del suo vissuto familiare non possa più farle del male.
Recensione de il candido Umberto
Inès di Loic Dauvillier e Jérome d’Aviau ReNoir Comics 12,00 euro