Pazzia
Pazzia di Jioke, al secolo Giovanni Dell’Oro, è un fumetto disturbante, nell’accezione più positiva – se esiste un’accezione positiva – del termine. Ma mettiamo ordine alle idee.
Trattasi di una raccolta di brevi storie; piccole pillole coniugate alla violenza dei tempi moderni, in cui Dell’Oro ci narra di fatti che pur non riferendosi esplicitamente ad eventi reali, richiamano la cronaca nera delle notizie più eclatanti ed oscure. Nell’affrontare il tema, sposta la telecamera alle spalle dei personaggi, immaginando l’emotività di quei frangenti in cui il contatto con la vita quotidiana si perde di colpo, quel click che separa improvvisamente una giornata normale in un viaggio onirico dalle tinte horror.
Dell’Oro risulta particolarmente capace nel non cedere alla rappresentazione patetica delle vittime alla ricerca del consenso facile del lettore, ma anzi, scivola in modo silenzioso da una direzione ad un’altra, evitando la sentenza – che risulta comunque implicita – incentrando i racconti sulle pulsioni e sui pensieri dissonanti dei protagonisti, in uno scambio continuo fra polo positivo e polo negativo, figurando quello che dovrebbe essere, appunto, il traino delle vicende, ovvero l’atto folle.
Curando sia i testi che i disegni, l’autore è libero di presentare la sua visione, con uno stile particolare che sembra incontrare più contaminazioni ed influenze, rimescolandole in una forma espressiva di sicuro impatto, che mette in evidenza linee e geometrie di costruzione, accentuando l’esperienza astratta. In alcuni frangenti pare ci siano lontani echi di Davide Toffolo, in altri sembra invece farla da padrone l’assonanza con lo stampo orientale. Si va a sommare a tutto ciò una particolare somiglianza dei protagonisti con gli avatar videoludici, che forse arriva per via delle geometrie nette cui si faceva riferimento poco sopra.
La brevità delle storie non permette un approfondimento dei personaggi abbastanza forte da creare immedesimazione nel lettore; anche questo è un riferimento ad un fenomeno di narrativa moderna, ovvero le creepy pasta. Nelle pagine si muovono personificazioni di concetti presi per sommi capi: maschere, spaventose ed allegoriche, che permettono una fruizione d’istinto più che di intelletto, spunti intriganti che però lasciano da parte il dettaglio. Un ciclo di fiabe della cattiva notte, portatrici di sogni amari.
Curiosa la scelta di non collocare geograficamente le storie o, meglio, di lasciare intuire una distanza fisica ampia fra l’una e l’altra attraverso l’uso di nomi dalle radici diverse. Da suggerimenti anglofoni, ad altri italiani. Se l’intento era semplicemente quello di spaziare collegando il mondo attraverso questo ipotetico parallelo rosso sangue, forse sarebbe stato opportuno rendere maggiormente evidenti le differenze culturali, poiché un semplice cambio linguistico ha un effetto più che altro scollante, di disomogeneità.
Ho letto il fumetto prima di ricercare chi fosse l’autore e, scommettendo un penny, l’avrei messo su una voce giovane. Ed avrei vinto. Inanzitutto alcuni riferimenti visivi mi sono sembrati propri di una generazione un pochino più agile della mia. Secondo, sembrano mancare in alcuni punti delle accortezze, o malizie narrative, che si acquisiscono con l’esperienza, cosa che si avverte ad esempio in certe linee di dialogo vittime di rallentamenti meccanicai, che andrebbero leggermente oliati. Il rovescio della medaglia di un autore giovane invece, è l’avere dalla sua un’evidente voglia e freschezza espressiva che, pur quando un filo eccessiva tende a scavalcare la storia, ha la capacità di arrivare dritta come uno schiaffo a mano aperta, un risultato dirompente che con l’età gli autori faticano sempre di più a raggiungere, fino a perdere del tutto quel tipo di capacità di comunicare senza filtri. Purtroppo, aggiungerei.
Nel complesso è una lettura che scorre molto velocemente e che ha il pregio migliore nell’inquietudine che riesce a disturbare il senso civile, pur non avendo bisogno di cadere nel gore o nello splatter, ma appoggiandosi su solide basi dell’immaginario del nuovo millennio. Molta è la curiosità di vedere Dell’Oro alle prese con una storia più lunga, che possa mettere in risalto quell’attenzione posta nella regia della scena, perché se riuscisse a mantenere un livello di tensione come nei picchi di questo volume, in un intreccio più complesso, potremmo trovarci di fronte a qualcosa di molto interessante. E, da lettori, ci auguriamo e gli auguriamo accada presto.
Recesound: Stinkfist – Tool